Friday, 11 April 2014

Giornate tipiche

Ciao a tutti!
Oggi ho deciso di dedicare il mio post alle mie giornate tipo in Italia e in Inghilterra e in Italia da "figlia che vive all'estero"
Partiamo dall'Italia:
Vengo svegliata da mia madre che parla con mio padre/mia sorella esattamente davanti la mia camera, vengo aggiornata su vita morte e miracoli di tutta la famiglia, cerco di riaddormentarmi, ci riesco MA vengo svegliata di nuovo, sempre da mia madre che urla contro i gatti che stanno cercando di scroccarle quale altro stuzzichino.
Decido di alzarmi, mi avvio verso la macchinetta del caffè. La metto su e, mentre aspetto si scaldi, accendo la tv (che è l'unica cosa che non mi dà fastidio la mattina). Arriva mia madre, pronta ad uscire. "Che fai oggi? Dove vai? Con chi vai? Sei a casa a pranzo? Sei a casa a cena? Sarai a casa il terzo weekend di maggio? Hai organizzato le vacanze estive del 2020?" Rispondo a monosillabi, cercando di farle notare che in 23 anni non ha capito che la mattina nessuno deve rivolgermi la parola prima del caffè. Sbuffa, esce. Io rimango seduta a fissare il vuoto, cercando di capire cosa abbia detto mia madre. Tiro fuori qualcosa da mangiare, due balene travestite da gatto saltano sul tavolo cercando una mazzetta di cibo. Gli do qualcosa per togliermeli di mezzo e cerco di fare colazione. Ci riesco, mi alzo e vado a lavarmi. Mi lavo, mi vesto, cerco di rendermi decente e decido di avviarmi verso l'università/la biblioteca, a seconda dei giorni.
Qui la descrizione si divide in due: l'università implica salire su un treno della fine degli anni '70 (quando ti va bene) che probabilmente mi porterà in centro in circa mezzora (se non ci sono furti di rame, scioperi, corse saltate, alieni, templari, illuminati, massoni ecc.). Lezione, due ore, caffè prima e dopo e poi di nuovo sul treno.
La biblioteca implica probabilmente spostare la macchina (perché siamo pigri), arrivare, trovare un posto, prendere un posto anche per qualche tuo amico che forse ti ha detto che viene, prendere un caffè, fumare una sigaretta, incontrare  un amico, prenderci un altro caffè e fumarci un'altra sigaretta.
tipiche foto fatte in biblioteca
Sedersi, salutare altri amici/persone che hai conosciuto andando tutti i giorni in biblioteca, dire di no al primo che ti chiede di andare a prendere un caffè, studiare 10 minuti, arriva la tua amica "pausa?" "pausa!", caffè, sigaretta, tornare a "studiare" dopo 40 minuti di chiacchiere (dobbiamo aggiornarci!).
tipico pomeriggio passato a giocare a "quel gioco dell'intesa vincente di Rai1" all'Elsa Morante di Ostia
 in qualche modo arriva l'ora di pranzo, vai a casa, mangi, esci e torni in biblioteca dove ricomincia il circolo dei caffè, sigarette, studio per tre minuti e via. Si fanno le cinque e mezza "andiamo a prendere un gelato/aperitivo" che fai dici di no? Ultima mezzora di studio, gelato/aperitivo, casa. Cena, famiglia, chiacchiere zero perché papà deve vedere il tg, mamma urla contro il politico di turno, papà le dice che parla a voce troppo alta, mamma gli risponde che è abituata ai suoi studenti, cerco di prenderla in giro, papà mi zittisce, caffè, dolcetto e in camera. Facebook, cazzeggio, realtime, ninne.
E così per 365 lunghissimi giorni, o 366 se è bisestile.
Inghilterra:
Vengo svegliata dalla sveglia, che viene rigorosamente spenta almeno tre volte. Mi alzo, vado in cucina cercando di non inciampare sulle scale (o sul gatto per le scale), mi faccio un sano caffè ovviamente italiano, mangio qualcosa (tipo cereali e latte insapore... hmmmm, buono!), mi lavo, esco per andare all'università. Cammino fino alla stazione, tempo di attesa medio 3 minuti, prendo un treno, solitamente stracolmo la mattina, arrivo al centro di Londra, seguo la mia bella lezione, torno a casa, mangio, vado a lavorare. Passo un pomeriggio a convincere due bambine che, a 23 anni, se dico loro di non fare una cosa lo dico perché l'ho provata e so che fa male. Finisco di lavorare, esco con qualche amica, bevo qualche birra, torno a casa, ceno, dormo.
E questo più o meno tutti i giorni della settimana. Con il bel tempo, nel weekend, approfitto dei parchi londinesi per passeggiare e "prendere il sole" (cosa che non funziona mai perché sono tremendamente grigia da quando sono qui). Ah, e ogni tanto gioco a pallavolo, ma questa è un'altra storia.
Italia in vacanza:
Vengo svegliata, sempre e comunque, dal tono di voce spropositato che caratterizza i miei familiari. Mi alzo, vado in cucina "Mari, non ti preoccupare, ti faccio io il caffè" *partono i cori angelici*, mi siedo, le balene travestite da gatto cercano sempre di scroccarmi del cibo, ma questa volta mi fa piacere visto che sono mesi che non li vedo. Mangio, mi lavo e, non dovendo fare NULLA, organizzo di vedermi con qualcuno. Roma, in vacanza, è bella. Persino prendere il trenino non è poi così tremendo. Telefonata con mamma "ma' non torno a casa a pranzo, sto da *inserire nome di amico a caso*" "non ti preoccupare, cucciola preferita della tua mamma. Stasera però ci sei? Sto facendo la spesa. Pensavo di fare la pizza, la lasagna, i fiori di zucca, la polenta" "ah mà, fanno 40 gradi e tu vuoi fa' la polenta?" "beh, sì, so quanto ti piace. Quest'inverno non te la sei potuta godere" "sì ma stamo a giugno!" "vabbè, dai allora faccio solo la pizza. Invita Elena"
Invitare qualche amico a cena implica che la quantità di pizza si trasformi da "sfamare 6 persone" a "sfamare tutto il vicinato".
Questa scena si ripete più o meno per tutta la durata del mio soggiorno in Italia, tanto che quei pochi grammi/etti buttati giù qui non solo vengono ripresi ma vengono anche accompagnati da simpatici kili di "mammaItalia". E nonostante tornare sia sempre un trauma, nonostante per tutta la durata del soggiorno io non pensi ad altro che a tornare a Londra, quando poi veramente lo faccio la "presa a male" è potente. Perché, come già ho detto, io sono la meno patriottica degli italiani, sono la meno italiana degli italiani, ma casa è casa e l'atmosfera che il luogo che ti ha cresciuto contiene e sempre possiederà è un insieme di odori, profumi, luoghi e persone che sono legate indissolubilmente a chi sei e chi sarai. E se sono qui ora è anche grazie a loro. Mi hanno insegnato che non è importante dove, ma con chi; che non importa quante volte si cada, c'è sempre un modo per rimettersi in piedi; che certe volte la cura migliore per un cuore infranto è stare a casa a guardare la televisione mangiando popcorn; che anche Ostia può essere divertente; che ogni tanto bisogna prendersi una pausa da se stessi e dalla vita; che è bello fissare il mare in silenzio; che non importa quanti chilometri vi separino, chi conta rimane; che chi, invece, non rimane forse non ti ha mai meritato; che non sei mai troppo in ritardo per ricrederti sulle persone e che il mondo fuori è così bello proprio perché c'è un posto sicuro che tu puoi chiamare casa dove, qualsiasi cosa accada, ci sarà sempre almeno un paio di braccia aperte ad aspettarti.

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